Cosa vedo nel fare impresa di oggi? Tanti piccoli uomini-macchina che fanno e non pensano.
Tanti Charlot, il personaggio così meravigliosamente interpretato da Charlie Chaplin in “Tempi moderni”: una stretta giacchetta, pantaloni e scarpe più grandi della sua misura, con i suoi baffetti e l’andatura ondeggiante simbolo dell’emotività sentimentale e del malinconico disincanto di fronte alle ingiustizie della società moderna.
L’emblema dell’alienazione umana nell’era del progresso economico ed industriale.
Durante gli anni della guerra l’impresa era questa.
E oggi a che punto siamo?
Ho deciso di testarlo da me. E con un’idea in testa, ho deciso di capire come fare impresa.
Per partire però ho bisogno di capire cosa e come voglio farlo. In primis provo allora ad analizzare quello che mi circonda quotidianamente per cercare di dare una definizione di impresa.
Chiudo gli occhi e mi dico “IMPRESA”…
Subito mi viene in mente una grande scrivania, grandi vetrate e un capo in giacca e cravatta che prende decisioni, detta le linee guida su quello che sarà il modo di fare impresa e impartisce orari e mansioni ai propri dipendenti.
Quelli però li vedo in lontananza e un po’ sfocati.
Riapro gli occhi e mi rendo conto di quanto il pessimismo dilagante in un momento di difficoltà come quello attuale, influisca sulla nostra immagine dell’impresa.
Ci sarà una definizione più realistica di impresa rispetto a quella che può darmi la mia immaginazione!?
Bene. Prendo il codice civile e ne ricerco la pura definizione giuridica; “Troverò la soluzione a tutti i miei problemi” mi dico. Ma non è così.
La definizione di impresa non esiste.
Pur non essendo presente una nozione di impresa, quello che viene espresso, però, e da cui riesco a dedurne il significato, è invece il concetto di fare impresa, attraverso la figura di imprenditore. Finalmente ci siamo.
Grazie all’articolo 2082 del c.c. ora so, all’incirca, cosa vuol dire fare un’impresa essendo imprenditore e cioè:
“colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”.
Potrei finire qua la mia ricerca e iniziare davvero a costruire la mia impresa?!!!
Ecco spuntare nella mia mente un altro dubbio amletico:
perché dovrei fare impresa quindi?? Essenzialmente per lo scambio di beni e servizi?
C’è qualcosa che manca e che mi sembra fondamentale!!
Una prima considerazione: è innegabile che fare impresa significa creare un’occupazione. In un contesto sociale sempre più precario, chi fa impresa genera lavoro per sé e per gli altri e partecipa allo sviluppo sociale di un territorio.
Ecco che l’impresa inizia ad assumere una connotazione meno alienante…
Essere e fare impresa: la “dimensione umana”
Per andare al nocciolo della questione, bisogna ricercare quelle che sono le modalità e le motivazioni (il fine) che spingono a dare vita ad un’azienda e a organizzarla in un certo modo, specie a seguito della costante richiesta di un mercato fortemente dinamico e flessibile.
Un mercato sempre più chiamato ad essere luogo di incontro di bisogni piuttosto che di domanda e offerta.
Attraverso la motivazione, l’incoraggiamento e il passaggio di forti valori guida orientati al benessere sia del cliente sia del dipendente, chi decide di iniziare a fare impresa ha la possibilità di andare a creare un notevole valore aggiunto:
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- esternamente, l’orientamento del business (fine) sarà incentrato su una forte relazione di reciproca conoscenza con i clienti e i loro bisogni (selling proposition);
- internamente, la “risorsa umana” si sentirà sempre più tassello fondamentale per la “sua” azienda.
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Quest’ultimo punto garantirà infatti un ritorno notevole oltre che per l’impresa, sicuramente anche per il dipendente stesso che avrà scoperto un nuovo modo di essere impresa paragonabile ad una famiglia, in cui:
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- le carenze di uno sono supportate e colmate dall’altro;
- non c’è competizione se non quella positiva nella costante tensione a superare i propri limiti (specie per un obiettivo comune e condiviso);
- le linee guida del proprio operare provengono da un padre sempre disponibile all’ascolto attento.
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Basti pensare all’esempio storico di Adriano Olivetti (come spiega bene questo articolo), assolutamente rivoluzionario per i suoi tempi.
Qualcuno potrebbe obiettare:
“Belle parole, ma c’è la crisi! La cosa fondamentale è avere uno stipendio assicurato. Poi per il resto…vediamo cosa si può fare.”
Seppur esiste concretamente la possibilità di realizzare un nuovo modo di fare impresa attraverso una riformulazione radicale dell’idea di imprenditore e del suo modo di agire, ci si ritrova quasi in una situazione paradossale.
Se nel 1936, anno della prima proiezione di “Tempi moderni”, poteva essere giustificabile il pessimismo esistente tra le persone, la loro “tiepidezza” a riguardo delle aspettative di vita e sulla concezione dell’ impresa.
Oggi la scenario risulta intollerabile ed ancora più triste:
l’uomo, demotivato o non ben motivato, decide autonomamente di essere uno Charlot pensando che quella possa essere la via più semplice per evitare qualsiasi rischio sul piano economico e non pretende così di essere uno strumento che crea valore per sé e per l’impresa.
Nei casi in cui il fine dell’azienda è quello di produrre un bene standardizzato al prezzo più basso e con maggior margine di profitto.
Ecco che la risorsa umana, così come il cliente finale, assume un ruolo nelle relazioni in quanto produttore o portatore sano di remunerazione economica, senza volto e virtù.
Ma se invece fare impresa sottintende la capacità di soddisfare i bisogni per generare benessere attraverso un approccio di definizione a lungo termine degli obiettivi di sviluppo soci(ale)o-economico, sarà necessario che l’imprenditore sappia e possa guidare la propria impresa verso un’organica crescita delle sue risorse e della sua capacità relazionale con il contesto.
In conclusione, la caratteristica che più di tutte le altre viene richiesta alle imprese è una creativa follia.
E’ la capacità di di approcciarsi alla realtà dismettendo l’idea di un modo alienante di fare impresa ed è la capacità di guardare oltre alle scarne logiche prettamente economiche.
“Mantenetevi folli e comportatevi da persone normali” direbbe Paulo Coelho.
E i migliori folli hanno cambiato buona parte della storia dell’umanità.
Una follia attiva come forza motrice, ispiratrice di una nuova moralità e una nuova crescita che riparta dall’uomo.
Roberto Lorusso
Founder and Ceo Duc In Altum srl